Donne più consapevoli e attive anche nei percorsi di cura

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Donne più consapevoli e attive anche nei percorsi di cura

Ogni donna è un universo a sé, con la propria storia e il proprio bagaglio di esperienze e aspettative. Questa unicità assume un significato ancora più profondo nell’ambito della salute e, in modo particolare, quando si deve affrontare una malattia.

Ricevere una diagnosi di cancro al seno è un evento destabilizzante, che cambia la vita di una donna e di chi le sta accanto, segnando l’inizio di un viaggio lungo ed estenuante, fatto di visite, terapie, interventi chirurgici, lunghi tempi di attesa e un altissimo carico di stress.

Allo shock e alla paura di fronte alla notizia, si accompagnano la preoccupazione per sé e per i propri familiari, per il proprio futuro, e la consapevolezza che, da quel momento in avanti, guarire diventerà un lavoro a tempo pieno. I trattamenti lasciano cicatrici profonde, sia fisicamente che mentalmente, e trasformano il corpo e l’immagine che la donna ha di sé: perdere i capelli dopo la terapia cellulare o vedersi private di uno o entrambi i seni dopo la mastectomia sono cambiamenti sconvolgenti, difficili da accettare. E nella fase di monitoraggio post-trattamento, che può durare anni o persino tutta la vita, ci saranno ancora appuntamenti e controlli da gestire e l’ansia dei risultati da affrontare.

Durante questo difficile percorso, è cruciale essere informate su ogni fase perché questo consente di fare le scelte giuste e permette ad una donna colpita da cancro al seno di prendere decisioni consapevoli e diventare parte attiva dell’iter terapeutico.

Si può cominciare cercando informazioni sui centri che effettuano la mammografia, sui macchinari e le tecnologie utilizzate, si può chiedere consiglio al proprio medico e si possono leggere o ascoltare le esperienze di altre pazienti in determinate strutture, valutando aspetti come il comfort durante l’esame, l’accoglienza, l’empatia del team clinico e se c’è la possibilità di fare più esami presso lo stesso centro. In caso di un risultato positivo, la struttura scelta diventerà per molto tempo un punto di riferimento e non ci si deve accontentare.

Anche dopo la diagnosi, può essere utile ascoltare le esperienze e i consigli di altre donne che hanno affrontato o stanno affrontando la malattia, rivolgendosi ad associazioni di pazienti, leggendo articoli, blog o seguendo podcast come Non siamo sole (soundcloud.com/non-siamo-sole). Ascoltare i loro racconti di vita può aiutare a capire meglio cosa aspettarsi, come muoversi e a trovare la forza di accettare la nuova realtà in modo positivo.

Questo approccio non migliora solo gli esiti clinici dei pazienti, ma aumenta anche l’aderenza ai piani terapeutici e la soddisfazione complessiva, riducendo i costi e apportando benefici che si riverberano sull’intero sistema sanitario.

In questo contesto, diventa importante il contributo di partner come GE HealthCare. Impegnata a innalzare gli standard di cura, l’azienda mette a disposizione soluzioni tecnologiche all’avanguardia per trattamenti sempre più mirati e personalizzati, oltre a offrire strumenti e programmi di coaching per migliorare la patient experience e dare voce ai pazienti.

Molte delle recenti innovazioni introdotte da GE HealthCare nell’ambito della salute della donna sono frutto dell’attenzione dedicata al percepito e all’esperienza delle pazienti. Ricordiamone alcune:

  • One-Stop Clinic, un modello organizzativo che, grazie a un approccio multidisciplinare, integrato, personalizzato e misurabile (secondo il concetto one place, one team, one day), permette di migliorare l’esperienza delle pazienti e la qualità della diagnosi riducendo i tempi che intercorrono tra l'esame, i risultati e la pianificazione del trattamento;
  • il mammografo Pristina, ideato dalle donne per le donne, con un design ergonomico e un dispositivo che permette alla paziente di regolare la compressione del seno per rendere l’esame meno fastidioso;
  • Theodora, un mezzo mobile per lo screening, presentato la scorsa settimana al congresso ECR di Vienna, che punta a migliorare l’accesso alle cure per favorire la diagnosi precoce;

A queste soluzioni si sommano le iniziative di sensibilizzazione, come la campagna “Non rimandare il tuo esame”, lanciata lo scorso anno in occasione dell’Ottobre Rosa per sottolineare l’importanza dello screening mammografico regolare. Sono infatti ancora molte le donne che rimandano o addirittura saltano questo esame, perché lo considerano sgradevole o per paura dell’esito. Oppure perché non hanno tempo. Ma come ricorda la campagna, fare la mammografia può davvero salvare la vita: le donne che si sottopongono regolarmente all’esame hanno infatti il 60% di probabilità in meno di morire di un tumore al seno rispetto a chi non lo fa¹.

È nostro dovere continuare a lavorare per incoraggiare le donne a prendere coscienza di sé e del proprio ruolo attivo nella gestione della salute, impegnandoci a mettere a loro disposizione gli strumenti per informarsi, favorendo la comunicazione e promuovendo l’adesione ai programmi di prevenzione e di cura. Solo con uno sforzo collettivo possiamo garantire un futuro in cui ogni paziente riceverà cure di qualità ma anche un’esperienza dignitosa, compassionevole e incentrata sulle esigenze individuali.

 

Riferimenti

1. Paap E, Verbeek AL, Botterweck AA, et al. Breast cancer screening halves the risk of breast cancer death: a case-referent study. Breast (Edinburgh, Scotland). 2014;23(4):439-444. 10.1016/j.breast.2014.03.0